L’immagine della donna che Aurora fissa con l’obbiettivo è, credo, la proiezione di sé stessa, della sua anima, del suo mondo interiore. Le sue donne vi appaiono come filtrate da uno schermo di diafano alabastro, che lascia passare una luce tenue, nella quale la figura femminile emerge dallo sfondo senza però distaccarsene mai del tutto, come se non volesse abbandonare il mondo rassicurante fatto di morbidi mezzi toni e ombre che le circondano: persiane socchiuse dietro le quali si perde lo sguardo, tende appena mosse da un alito di brezza, riflessi sui vetri che si fanno specchi in cui interrogarsi, vestaglie che scivolano dalle spalle nel silenzio della stanza su pavimenti di caldo legno profumato. Le gambe che salgono scale forse già note sono le stesse che percorrono in bilico come un funambolo la linea gialla che corre parallela a binari che portano a destinazioni sconosciute. Lontano da dove, verso dove Aurora? Tu stessa, forse, non lo sai.
Cesare Alberto Loverre
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